lunedì 20 novembre 2017

Sulla #Tari #Gonfiata pende il #dubbio dei #rimborsi

Sulla Tari gonfiata pende il dubbio dei rimborsi


Per i rimborsi Tari potrebbe anche essere sufficiente un modulo non preordinato. Quindi, di fatto, un’autocertificazione in carta semplice presentata dal contribuente per farsi restituire l’ormai famosa tariffa “gonfiata”. Ma perché gonfiata? La chiave per sciogliere il dubbio va cercata negli avvisi di pagamento recapitati dall’amministrazione comunale. Bisognerà comunque fare riferimento ai soli bollettini Tari, perché sulla Tarsu, tributo ormai decaduto che non prevedeva la distinzione fra quote fisse e quote variabili, il problema non si pone. In pratica quel che occorre controllare è se il Comune abbia o meno calcolato l’applicazione della quota variabile della tariffa sugli immobili pertinenziali. Se lo ha fatto, l’addebito dovrà per forza risultare dal sollecito di pagamento. Facciamo quindi un breve passo indietro per farci un’idea del problema. La Tari, in sostanza, viene calcolata su due variabili: metri quadrati dell'immobile (pertinenze comprese) e numero di persone che vi abitano.

Fin qui le premesse. Per quanto riguarda invece la strutturazione vera e propria della tariffa, quindi per così dire il “conto” finale che il residente si vede recapitare a casa, questa è comprensiva di due quote, una fissa e una variabile. La fissa è legata a fattori extra-domestici, cioè ai costi sostenuti per l'erogazione del servizio in sé ripartiti fra possessori e detentori di case. Per la quota variabile subentrano invece le caratteristiche dell’immobile e l’estensione del nucleo. È chiaro che un nucleo di quattro persone, residente in una casa di 100 metri quadrati, produrrà più rifiuti di una coppia convivente in un bilocale di 60 mq.

Dov’è sorto quindi il problema delle tariffe gonfiate? In pratica molti Comuni, tra cui figurano anche nomi “blasonati” di capoluoghi quali Milano, Genova, Ancora, Napoli, Catanzaro o Cagliari, hanno erroneamente applicato la quota variabile della Tari, che di norma andrebbe associata alla sola abitazione, anche alle pertinenze, e questo – si è detto – per un’errata interpretazione della norma. Cioè: il principio corretto è quello di applicare la quota variabile della tariffa sull’immobile dove il nucleo vive e dove di fatto produce rifiuti. Il calcolo, dunque, di questa quota anche sui garage o sulle cantine ha provocato i famosi rincari indebiti che adesso i cittadini potranno richiedere a rimborso, salvo che i Comuni – potendo decidere diversamente – non scelgano di risolvere tramite lo scomputo, a posteriori, sulle tariffe dell’anno prossimo. È ovvio, comunque, che il problema sussiste soltanto per quelle famiglie che abbiano pertinenze accatastate distintamente rispetto all’abitazione. Laddove, al contrario, abitazione e pertinenze siano accatastate unitariamente, l’addebito è da considerarsi corretto non essendo appunto possibile distinguere, dal punto di vista della metratura, le due unità immobiliari.

Detto questo, cosa va fatto concretamente per avere i soldi indietro? Al momento non esistono risposte certe, e la fase di approvazione tutt’ora in corso su Decreto Fiscale e Legge di Bilancio non aiuta a capire. Questo perché il Dl Fiscale allegato alla Finanziaria 2018 potrebbe essere la sede ideale dove collocare una norma di ripiego per risolvere il problema (come sbloccare i rimborsi e con quali fondi?). Chiaramente la cosa più auspicabile sarebbe quella di vedere per primi i Comuni investiti della responsabilità di restituire direttamente le somme versate in eccesso senza che sia il contribuente a farne richiesta. Per l’Imu o la Tasi il discorso è diverso: in questi casi il calcolo se lo fa il cittadino – da solo o facendosi aiutare –, quindi è normale che se scappa un errore l’istanza di rimborso debba partire dal cittadino stesso. Per la Tari invece l’autoliquidazione non c’è, è il Comune infatti che ne gestisce il calcolo comunicando poi al cittadino la tariffa dovuta. Di conseguenza, secondo logica, sarebbe altrettanto normale se fossero i Comuni a rimediare autonomamente senza accollare ai cittadini l’onere dell’istanza di rimborso.

Altra questione sarà capire con quali soldi verranno effettuati i rimborsi. Il problema è più cavilloso che sostanziale. Visto che la normativa Tari vincola i Comuni a utilizzare i fondi della tariffa esclusivamente per l’erogazione del servizio di raccolta, i sindaci, per voce dell’Anci, hanno lamentato sostanzialmente di avere le mani legate, cioè di non poter restituire le quote indebitamente raccolte dal momento che trattasi comunque di fondi Tari. La soluzione più logica, allora, a meno di non introdurre una deroga straordinaria sulla destinazione dei fondi, sarebbe quella di impiegare risorse “terze”, attingendole ad esempio dalle addizionali comunali. La soluzione, invece, di scomputare dalla Tari dell’anno prossimo una quota pari all’importo pagato in eccesso, pur restando fattibile, sarebbe comunque troppo lontana nel tempo per chi, invece, potrebbe aver bisogno di quei soldi nell’immediato.

Luca Napolitano
fonte Sito Ufficiale CAF ACLI




CAF PATRONATO ACLI ROSSANO

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